giovedì, Novembre 21Settimanale a cura di Valeria Sorli

17 Gennaio- Sant’Antonio Abate a cura di Don Luca Roveda

Il 17 gennaio si celebra la grande figura di Sant’Antonio Abate, nelle nostre campagne è festa grande e proprio la tradizione contadina vede in un questo grande anacoreta e uomo di preghiera il patrono principale delle coltivazioni e degli animali di ogni specie e in particolari quelli domestici e da allevamento. Vogliamo approfondire la storia, le devozioni e anche gli aspetti socio culturali di uno dei santi più amati e venerati in ogni luogo, per questo, la sua figura spirituale si erge luminosa e imponente come segno di fedeltà a Cristo, di lotta vittoriosa contro il demonio e le sue seduzioni, di armonia con la natura e saggezza nel consiglio.

La vita

Antonio Abate nacque in Egitto, a Cuma, una località sulla riva sinistra del Nilo, intorno all’anno 250 e fu un eremita tra i più rigorosi e importanti nella storia del Cristianesimo antico. Antonio, di cui conosciamo la vita grazie alla biografia scritta dal vescovo S’Atanasio, fu un insigne padre del monachesimo orientale. Malgrado appartenesse a una famiglia piuttosto agiata, mostrò sin da giovane poco interesse per le lusinghe e per il lusso della vita mondana: alle feste e ai banchetti infatti preferiva il lavoro e la meditazione e alla morte dei genitori distribuì tutte le sue sostanze ai poveri, si ritirò nel deserto e li cominciò la sua vita di penitente. Compiuta la sua scelta di vivere come eremita, trascorse molti anni vivendo in un’antica tomba scavata nella roccia, lottando contro le tentazioni del demonio, che molto spesso gli appariva per mostrargli quello che avrebbe potuto fare se foste rimasto nel mondo. A volte il diavolo si mostrava sotto forma di bestia feroce – spesso nelle sembianze di maiale – allo scopo di spaventarlo, ma a queste provocazioni Antonio rispondeva con digiuni e penitenze di ogni genere, riuscendo sempre a trionfare. La sua fama di anacoreta si diffuse ben presto presso i fedeli e Antonio, che voleva vivere assolutamente distaccato dal resto del mondo, fu costretto più volte a cambiare luogo di “residenza”. Intorno al 311 si recò ad Alessandria per prestare aiuto e conforto ai Cristiani perseguitati dall’imperatore Massimiano; poi si ritirò sul monte Qolzoum, sul mar Rosso, ma dovette tornare ad Alessandria poco tempo dopo per combattere l’eresia ariana, sempre più diffusa nelle zone orientali dell’impero. Malgrado conducesse una vita dura e piena di privazioni, Antonio fu molto longevo: la morte lo colse infatti all’età di 106 anni, il 17 Gennaio del 356, nel suo eremo sul monte Qolzoum. Sulla sua tomba, subito oggetto di venerazione da parte dei fedeli, furono edificati una chiesa e un monastero; le sue reliquie nel 635 furono portate a Costantinopoli, e poi sembra che siano state portate in Francia tra il sec IX e il X dove oggi si venerano nella chiesa di Saint Julian, ad Arles. In Francia, in quel periodo, sorse l’ordine degli “Antoniani” approvato successivamente da papa Urbano II.

Invocato contro il demonio

Il diavolo tentò sempre e crudelmente Antonio mentre era nel deserto, sia con pensieri osceni che con pensieri dall’apparenza spirituale: per questo, le storie leggendarie lo vedono spesso contendere al diavolo l’anima dei cristiani appena morti, e spesso il diavolo compare nella sua iconografia. Grazie alla preghiera e al digiuno resistette fino alla fine alle tentazioni, e il Signore per premiarlo gli consentì di consolare gli afflitti, liberare gli indemoniati, guarire i malati e istruire quanti volevano dedicarsi alla vita ascetica. Una simpatica leggenda dice che si recò all’inferno per rubare il fuoco al diavolo, e che mentre lui lo distraeva, il suo maialino corse dentro l’inferno, rubò un tizzone, e lo portò fuori per donarlo agli uomini. Sant’Antonio Abate è considerato patrono degli esorcisti insieme a San Benedetto e San Michele arcangelo.

Devozioni e patronati

E’ conosciuto come il Santo con il porcellino forse perché il maiale aveva notevole importanza nell’economia dei monasteri e il roseo e grasso maialetto diventava il simbolo della salute e della prosperità. Un tempo la sua immagine infatti veniva collocata dai contadini in tutte le stalle e nelle case contadine raffigurato come un vegliardo, dalla fluente barba bianca, che indossava il saio e che poggiava su un bastone la Croce Egiziana. La sua mano in atto benedicente, sovrasta uno stuolo di animali domestici che allora popolavano le aie dei casali contadini: i buoi, asini, cavalli, pecore e capre, e pennuti. C’è chi afferma che il motivo per cui Antonio è rappresentato con ai piedi il roseo porcellino è legato al diavolo, con il quale il Santo aveva ingaggiato lotte tremende con forti tentazioni di ogni genere, e che potrebbe aver assunto anche le sembianze del porcellino.
I riti che si compiono ogni anno in occasione della festa di S. Antonio sono antichissimi e legati strettamente alla vita contadina e fanno di Antonio Abate un vero e proprio “santo” del popolo. Egli è considerato il protettore contro le epidemie di certe malattie, sia dell’uomo, sia degli animali. E’ stato invocato come protettore del bestiame e la sua effigie era collocata sulla porta delle stalle. Il Santo è invocato anche per scongiurare gli incendi, e non a caso il suo nome è legato a una forma di herpes nota come “fuoco di Sant’Antonio” o “fuoco sacro”. Antonio, è anche considerato il patrono del fuoco; secondo alcuni riti attorno alla sua figura testimoniano un forte legame con le culture precristiane, soprattutto quella celtica. E’ nota infatti l’importanza che rivestiva presso i Celti il rituale legato al fuoco come elemento beneaugurante. E  la campanella? Qui’ c’e’ una spiegazione storica. Quando nel IX secolo le reliquie di sant’Antonio furono traslate da Costantino­poli alla Motte-Saint-Didier, in Francia, venne costituito nel centro che già ospitava i benedettini di Mont Majeur una comunità ospedaliera laica per curare i malati di ergotismo, un male causato dall’avvele­namento di un fungo presente nella segala usata per la pani­ficazione. Il morbo era co­nosciuto fin dall’antichità come ignis sacer per il bruciore che provo­cava, bruciori che, così come quelli provocati dal virus dello Herpes Zoster, si riuscivano a lenire con il grasso della cotenna del maiale. Quella prima comunità di “volontari” si trasformò prima in una Confraternita e poi nell’Ordine Ospedaliero dei canonici regolari di sant’Agostino di sant’Antonio Abate, detto comunemente degli Antoniani. L’Ordine venne approvato nel 1095 da Papa Urbano II al Concilio di Clermont e nel 1218 fu confermato con bolla papale di Onorio III. Uno dei più antichi privilegi che i papi accordarono agli Antoniani fu di poter allevare maiali per uso proprio: il loro grasso, infatti era usato come medicamento nella cura dell’ergotismo e dello herpes zoster che vennero chiamate perciò popolarmente “male di sant’Anto­nio” “fuoco di sant’ Antonio”. Il singolare allevamento avveniva a spese della comunità che alimentava i maialini, i quali potevano circolare liberamente fra vie e cortili portando una campanella di riconoscimento.

Don Luca Roveda