Secondo tutte le testimonianze a noi pervenute, Quinziano usò il pretesto della fede cristiana per piegare alle sue voglie la giovane vergine e appropriarsi dei suoi beni, ma Agata avvisata di quanto stava per accadere, fuggì da Catania e si rifugiò in luogo dove non avrebbero potuto trovarla. Durante la fuga si fermò per riallacciarsi un calzare, e subito apparve un albero d’ulivo che riparò la giovane e da cui ella poté mangiare i frutti per rifocillarsi. Non si conosce il luogo in cui si rifugiò, diverse tradizioni sono nate attorno a questa notizia: secondo alcuni si rifugiò a Galermo, poco fuori Catania, secondo altri a Palermo, o su una grotta nell’isola di Malta. La tradizione più plausibile sembrerebbe quella di Galermo, per la vicinanza con Catania, ma dobbiamo anche sottolineare che a Malta si conserva una delle più antiche testimonianze del culto agatino, risalente a poco tempo dopo il martirio. Alla fine Agata fu scoperta e portata davanti a Quinziano che rimase rapito dalla sua candida bellezza e cercò in tutti i modi di lusingarla affinché cedesse ai suoi desideri, ma la ragazza rimase ferma nel suo proposito verginale e a nulla valsero i regali e le belle parole del proconsole. Irritato, Quinziano inviò Agata da una matrona licenziosa, chiamata Afrodisia, affinché la introducesse all’ars amandi e la riportasse da lui, più incline a soddisfare i suoi desideri. Per un mese Agata visse in quella casa attorniata da giovani prostitute, che cercarono di farla cedere offrendole ogni sorta di ricchezza desiderabile e minacciandola di morte se non avesse ceduto. Agata non si lasciò vincere, non ebbe timore e risoluta rispose: “Vane sono le vostre promesse, stolte le parole, impotenti te minacce. Sappiate che il mio cuore è fermo come una pietra in Cristo e non cederà mai”. Terminato il mese pattuito con il proconsole, Afrodisia riportò Agata a Quinziano che sconfitta esclamò: “Ha la testa più dura della lava dell’Etna. Vistosi sconfitto, Quinziano istruì il processo per far vedere ad Agata che le minacce non erano uno scherzo. Agata si presentò davanti al tribunale vestita come una schiava, così usavano vestirsi le vergini consacrate a Cristo, e appena la vide, Quinziano esclamò: “Dunque tu sei una schiava!” Agata rispose: “Non sono una schiava, ma una serva del Re del cielo. Sono nata libera da una famiglia nobile, ma la mia maggiore nobiltà deriva dall’essere ancella di Gesù Cristo, tu invece che ti credi nobile, sei in realtà schiavo delle tue passioni” – Quinziano rispose: “Dunque noi che disprezziamo il nome e la servitù di Cristo siamo ignobili?” – “Ignobiltà grande è la vostra, voi siete schiavi delle voluttà, adorate pietre e legni, idoli costruiti da miseri artigiani, strumenti del demonio”, ribatté Agata! . Quinziano non seppe cosa rispondere e passò alle minacce: “O sacrifichi agli dei o sarai uccisa”. Agata non si lasciò intimidire e rispose risoluta: “Vuoi farmi soffrire? Da tempo lo aspetto, lo bramo, è la mia più grande gioia e non adorerò mai le tue divinità; come potrei adorare Venere impudica, Giove adultero e Mercurio ladro? A queste parole Quinziano diede ad Agata uno schiaffo, ma lei riprese: “Ti sei offeso perché ti auguro di assomigliare ai tuoi dei? Vedi allora che neanche tu li stimi? Perché pretendi che siano onorati e punisci chi non vuole adorarli?”. Non sapendo cos’altro dire, Quinziano ordinò che Agata fosse rinchiusa in carcere e portata in una cella buia e umida con solo una piccola finestrella in alto, incatenata, senza cibo né acqua dove vi rimase un giorno e una notte, dopodiché fu nuovamente condotta al cospetto del proconsole Quinziano che le chiese: “Che vuoi fare per la tua salvezza?” – Agata rispose: “La mia salvezza è Cristo”. Comprendendo che non l’avrebbe mai convinta ad abiurare, Quinziano ordinò che venisse torturata. La rabbia per l’affronto personale lo portarono ben oltre a quanto era previsto dagli editti imperiali; fu percossa con le verghe, lacerata con il pettine di ferro, ustionata con lamine arroventate e le furono stirate le membra, ma nulla riuscì a piegare la fede indomita della fanciulla, sicché Quinziano, ancora più adirato, ordinò che le venissero recise le mammelle. Agata lo rimproverò: “Non ti vergogni di stroncare in una donna le sorgenti della vita, dalle quali tu stesso traesti alimento succhiando al seno di tua madre? Tu strazi il mio corpo ma la mia anima rimane intatta!
Gravemente ferita la giovane fu ricondotta in carcere e durante la notte le apparve San Pietro che le restituì miracolosamente la sanità del corpo. >>Questa terribile menomazione e la sanità ritrovata, fa sì che i seni siano l’elemento iconografico prevalente a lei attribuito, ed è l’origine della devozione che la vede pregata conto ogni malattia del seno e difficoltà nell’allattamento. << Il mattino seguente la giovane fu nuovamente torturata e poiché rimaneva ancora ritta nella nobiltà del suo portamento e della sua fede, Quinziano ordinò che venisse arsa sul rogo, ma mentre si preparava il supplizio finale, un violento terremoto, forse causato dall’eruzione in corso dell’Etna, scosse la città e tutto fu bloccato. Agata fu ricondotta in carcere, dove spirò durante la notte, era il 5 febbraio del 251. Ci fu un gran tumulto in città per la crudeltà usata contro quella giovane, e i cristiani che avevano assistito al martirio, ne prelevarono il corpo e lo deposero in un sarcofago di pietra. Mentre si stava per chiudere il sepolcro, si avvicinò un fanciullo vestito di bianco, che depose sopra il capo di Agata una tavoletta di marmo con l’iscrizione latina MSSHDEPL, che significa “Mente santa e spontanea, onore a Dio e liberazione della Patria”. In quel momento secondo la tradizione, l’eruzione in corso dell’Etna cessò e Quinziano fuggito dalla città in seguito ai tumulti, annegò nel fiume Simeto. La notizia del martirio si diffuse presto ovunque, e già pochi anni dopo gli eventi, era celebrato in Sicilia. Sull’isola di Ustica è stata rinvenuta una lapide sepolcrale che accenna al “giorno di sant’Agata”, e nell’isola di Malta, sin dal IV secolo, si venera la santa in una grotta presso Rabat, dove secondo la tradizione, si rifugiò. Agata è oggi venerata in tutto il mondo, il suo nome si trova anche nel Canone Romano, e diverse città portano il suo nome o la venerano come patrona. Il corpo incorrotto della santa venne custodito per otto secoli a Catania, fu poi trafugato da Giorgio Maniace nel 1040 e portato a Costantinopoli, da dove fu riportato nel 1126 dai soldati Gisliberto e Goselmo che lo riconsegnarono al vescovo di Catania, Maurizio. Da allora è sempre rimasto nella città etnea, in parte dentro il prezioso busto- reliquiario e in parte in altri reliquiari, custoditi nella Cattedrale. Due insigni reliquie sono anche custodite fuori Catania: un braccio nella Cattedrale di Palermo e una mammella originariamente a Gallipoli, oggi a Galatina (la reliquia fu lasciata a Gallipoli, quando lì si fermarono i due soldati con il corpo della santa, per ringraziare dell’ospitalità). Una particolare reliquia è quella del velo, custodito anch’esso in un reliquiario argenteo nella Cattedrale di Catania. Tale reliquia fu più volte portata al cospetto della minacciosa lava dell’Etna, ottenendo il prodigio di bloccare l’eruzione.
Secondo la tradizione tale miracolo è avvenuto 15 volte, ultima delle quali nel 1886 quando il beato Giuseppe Benedetto Dusmet, arcivescovo di Catania, portò in processione il velo fermandosi a pregare nei pressi di Nicolosi. L’alta colata lavica ancora nel pieno della sua attività, si fermò poco dopo in quello stesso luogo in cui il beato aveva infisso il velo e si era inginocchiato. La santa viene ricordata il 5 febbraio, suo dies natalis, e festeggiata con particolare solennità a Catania, dove per tre giorni un fiume orante di persone provenienti da ogni dove le rendono omaggio.
La storia e la devozione verso questa giovane santa ci racconta di un mondo in cui i valori divengono spesso causa di scherzo e ingiustizia; i persecutori sono coloro che non accettano questi valori, ritenendo migliore condurre una vita dissoluta e senza un vero fondamento d’amore. La logica consumistica del mondo tende a schiacciare quegli esempi di virtù che adombrano i falsi eroi che una società malata propone come modelli. Agata ci dimostra invece, che non esiste forza alcuna che possa cancellare la parola Amore, quando questa è scritta nelle fibre dell’anima.
Don Luca Roveda