Nel precedente articolo sul tema dello stile e stilisti, ho volutamente escluso dalla lista un celeberrimo nome, Calvin Klein, o CK come ormai lo chiamano. Nasce nel ’42 negli States, e nel 62, a soli 20 anni, comincia a collaborare come stilista presso varie aziende e nel ’68 lancia il brand con il suo nome, in società con B. Schwartz, con uno stile minimalista, che però non ha mai fatto in tempo ad affermarlo, poiché è stato “travolto” dal fenomeno dei capi Intimo, successivamente dal profumo, o meglio dalle “acque”, avendo individuato nel suo target quella massa di teen agers, asessuati o sessualmente non ancora definiti, che ne hanno fatto il loro Dio, e da qual momento il caso divenuto mondiale, porta lo stesso Klein a beneficiare di introiti , credo mai visti al mondo, e tutt’ora in voga: si vedono più elastici CK che sbucano dai jeans oggi anche su una clientela anche molto più adulta. È dunque un caso unico che non è classificabile se non per introiti, sia con l’intimo, ma soprattutto gli va riconosciuto di essere stato il primo ad intuire che i profumi dovevano alleggerirsi, anche in termini di costi, e dunque ecco la comparsa delle “acque”, che genererà una folta schiera di proseliti. Lunga vita a Calvin, credo anche il più copiato e taroccato del mondo.
Nel frattempo nell’89 a Londra nasce la St. Martin’s school che sfornerà decine e decine di talenti stravaganti come John Galliano, Russein Chalayan, Antonio Berardi, Mattew Williamson, e Stella McCartney, ma uno su tutti, Alexander Mc Quenn, ed ognuno ha lasciato un forte segno nella mondo della moda, grandi le sue collaborazioni con importanti maison. E la Saint Martin continua la sua fervente attività scolastica, e staremo a vedere che ne sarà di Yi Fan Wang, 1° premio dell’ultimo anno scolastico, Philp Patterson, Alex Mullins, Liz Black, Cyntia Max, Onez Lau, Socha O’ Raghallaigh , Nicholas Smith, e Hirok o Nakajima.
Ma prima di loro, altri grandi hanno iniziato collaborazioni, vedi Tom Ford oggi in proprio, ma agli inizi fortunato designer per Gucci, poi la Facchinetti, Frida Giannini, e oggi Alessandro Michele, benedetto e amato dalla stampa e dicono dalla maison che ha notevolmente aumentato il suo fatturato, grazie al suo rapporto con i social. Ma molti sono gli italiani che arricchiscono le maison straniere, come Francesca Bellettini per YSL, Antonio Belloni, ingaggiato dal gruppo LVMH, Maria Grazia Chiuri, che ha ridato i fasti a Dior. Marc Jacobs, oltre alla sua linea, disegna l’abbigliamento di Vuitton, Narciso Rodriguez, che debutta con Anne Klein, e poi firma Cerruti e l’abito per la prima uscita ufficiale di Michelle Obama, oggi acclamato nel settore profumeria, con molti assi nella manica. In Italia Antonio Marras da anni fa rivivere Kenzo, Giambattista Valli reinventa Moncler, Mila Vurmirovic invece disegna Prada, sotto la giuda di Miuccia, Alessandro Sartori, direttore artistico dello storico gruppo Zegna, Andreas Melbostad , direttore creativo del gruppo Diesel Black Gold, i simpatici fratelli Dean e Dan Caten, oggi nelle mani di Renzo Rosso, ma loro è la creazione dello stravagante marchio Dsquared2, mentre fa tutti lui, Brunello Cuccinelli da Solomeo. Alessandro dell’Acqua è un promettente designer negli anni 85-90, e disegna per Genny, Byblos, e soprattutto diventa direttore creativo per il maglificio Pietro Pianforini, in seguito disegna per Borbonese, La Perla, insomma un poliedrico stilista che crea il suo marchio N°21, e nel contempo viene chiamato a disegnare Rochas, noto marchio francese. E una nuova generazione di promesse è pronto all’attacco, sempre che il mercato lo sia altrettanto, superando crisi economiche epocali, conflitti religiosi e politici, guerre sui dazi, immigrazione, imbarbarimento della società sempre più povera, e anche il meteo fa i suoi danni, anzi ridà all’uomo i danni che noi stessi abbiamo fatto alla natura.
Chissà se Anouki, Lovebirds, Moon J, Paskal, Francesco Visone, Matter Matters, Laurence e Chico, YII, Luca Larenza, Petit Tribe, Massimo Giorgetti, Stella Jean, Fausto Puglisi, Luvio Vanotti, Andrea Incontri e molti altri, chissà se incontreranno nel loro cammino, e glielo auguriamo, quella cifra stilistica, quella statura professionale che li annovererà tra i nuovi creatori… Auguri ragazzi!
Il Novecento è stato il secolo è stato il secolo dei couturiers, ed ha visto nascere stilisti diventati di fama mondiale, dall’alta moda Parigina al pret-a-porter milanese, che hanno diffuso l moda occidentale, con i loro modi di creare, produrre, comunicare, far consumare, affermando il loro predominio europeo in fatto di gusto, lusso e stile. Il nuovo secolo si è aperto all’insegna di questa visione, soprattutto tenendo in considerazione la globalizzazione, contaminata da ogni genere di materia, e pluralistica. Il Novecento è stato promotore di grandi imprese, l’industrializzazione delle grandi filiere, tessili, o concerie, creando indotto per tutto un secolo, e generando soprattutto grande innovazione.
Il nuovo secolo al contrario ha visto chiudere molte imprese italiane, Maestre impagabili e non paragonabili a nulla, talmente al di sopra di ogni cosa che non è immaginabile che con l’avvento dell’impero cinese, in questo settore intendo, si possa continuare quel che si è interrotto e per quanto bravi potranno essere, Nessuno saprà, nessuno potrà eguagliare la nostra storia. E questi giovani lo devono sapere, e devono studiare il nostro costume, i nostri processi creativi, la famosa filiera, di cui tanto parlo.
Ma torniamo ai grandi, a coloro che hanno contribuito all’evoluzione della moda, talvolta con stile, stravaganza, ma innovazione, come il caso di Martin Margiela, che ha smontato i capi, lasciandoli in vendita “imbastiti”, Junja Watanabe, Azzadine Alaya, Balenciaga, Hubert de Givenchy, Jean Patou, Philip Tracy, Manolo Blanik, o marchi come Cartier, Hermes, Tiffany, Levi Strauss, Comme Des Garcons, Costume National, fino a Vuitton, Max Mara, Tod’s, Brioni, Loro Piana, Biagiotti, Kiton, Richmond, Scervino, Trussardi, Canali, Corneliani, Caruso, Marinella, Bruno Magli, Renè Caovilla, Fratelli Rossetti, Damiani, Pomellato, Bulgari, e ancora Luxottica, De Rigo, Marcolin e Safilo. Tutti grandi maestri , ognuno nel loro settore, e mi perdonino tutti quelli che non ho citato, e proprio da questa storia, italiana, francese, inglese, o di chissà dove, che i giovani devono rispettare il loro lavoro, meglio ancora conoscerlo!
Tuttavia anche ai lettori una buona informazione di cos’e la moda farebbe bene! La confusione è tanta: spesso mi chiamano su un palco “Abbiamo con noi un grande dell’Alta Moda italiana!” No, io non appartengo all’alta moda, al pret-a-porter, e maestro lo si dice ad grande sarto, ad un couturier, ma non ad uno stilista. E poi la grande confusione con i marchi che fanno solo prodotti, senza nessuna logica se non quella di fare business: quei marchi, a basso costo sfornano prodotti, camuffati da effetto moda, spesso copiati da altre collezioni di marchi famosi, addirittura a volte con gli stessi tessuti, poiché loro ne consumano kilometri, forse li otterranno anche a prezzi più vantaggiosi. È arrivato il momento di riscrivere e regole del settore, che spettano in primis a noi, creatori, che dobbiamo essere supportati da una Camera della moda che faccia corporativismo e non individualismo, che non si viva di invidia ma ammirazione per fa un bel lavoro, che avanzi la meritocrazia e non la spinte a destra e manca, e poi il nostro governo che se non emana nuove leggi sulle agevolazioni alle imprese, il nostro mercato “moda”, avrà non pochi problemi a riemergere, a rilanciarsi ed occupare il meritato posto dei numeri uno al mondo, con introiti che alla nostra economia farebbero molto bene. Rigenerare tutte quelle fabbriche chiuse dalla crisi, favorendo l’inserimento dei giovani nel comparto moda, con maestranze (abbiamo le più valide!) che riprendono il filo della matassa, e si ricomincia con una sola parola, etica del lavoro, etica dei valori, concorrenza leale, men burocrazia, soprattutto sulla registrazione dei marchi, tema assai pesante per chi deve iniziare un’attività, ma anche per chi mantenere in vita il proprio brand. Negli anni 50, addirittura a Milano era stato inventato l’assessore alla Moda, che forse avrebbe fatto bene al settore occupandosi appunto fi tutte le problematiche che pur non essendo politiche, di fatto fanno capo a leggi inesistenti, ma questo assessorato è durato il tempo di una comunicazione, e come una piuma si è volatilizzata in brevissimo tempo.
Il mercato è zeppo di proposte: c’è il prodotto da basso prezzo, esclusivamente fatto in paesi lontani, dove le regole dei diritti umani non vengono rispettate, poi c’è la moda, il pret-a-porter, poi il lusso, ma soprattutto lo stile, il più ambito degli appellativi, perché lo stile resta, tutto il resto passa!