Photo by Paco di Canto
Il 1987 e 88 li ho vissuti tra Roma e per la maggior parte del tempo a Mosca. Mi occupavo di interior design, e durante una visita ad una amica che si era trasferita a Mosca, segretaria dell’Ambasciatore Brasiliano nella capitale Sovietica, mi fece visitare la sede e il meraviglioso palazzo In Uliza Gerzena, un edificio fine ‘800, di tre piani, ma solo due erano utilizzati, a causa di un incendio negli anni 50, e da allora l’ambasciatore aveva una residenza esterna , in quanto in vari anni di successioni di Corpi Consolari, nessuno era riuscito a ristrutturare il palazzo. Mi buttai a capofitto, la storia che Laura mi raccontò, mi pareva una grande opportunità, una sfida, e non esitai a lasciare il mio gruppo turistico con la loro visita al Museo del Cremlino, per passare una intera giornata, freddissima, era febbraio, e scortato da agenti del KGB, ho fotografato tutti gli interni, ho preso le misure di ogni stanza, ho conversato con l’Ambasciatore su ipotesi di ripristino, e il giorno dopo tornavamo a Roma, finita la gita di una settimana che era partita da San Pietroburgo. Al mio rientro in ufficio ero talmente galvanizzato dall’idea di vincere quella sfida, un’impresa non riuscita a nessuno, che in pochi giorni preparai 4 tavole, A-B-C e D, con disegni, campioni di materiali, tessuti, e preventivi. Spedii con corriere espresso il plico, arrivò a Mosca rapidamente e ricevetti la telefonata di Laura, che orgogliosa del mio impegno, mi passava al telefono l’Ambasciatore per entrare nei dettagli del probabile intervento di ristrutturazione. Un’ora di conversazione (in inglese, il mio portoghese all’epoca era a zero) e con un fax del giorno dopo, mi confermava che il Ministero degli esteri Brasiliano aveva accettato una delle mie proposte, e dunque con un bonifico avrebbero anticipato il 50% dell’importo, purché l’operazione prendesse il via immediatamente. Non mi lasciai sfuggire neanche un secondo di tempo e misi in moto una vera e propria task force: il 4 luglio 1987, tornavo a Mosca, per la supervisione della prima tranche di lavoro. Una settimana di montaggi con 50 di operai, carpentieri, imbianchini, tappezzieri, elettricisti e manovalanze varie e il 12 luglio, con un grande party, tutte le Ambasciate presenti in città invitate, si inaugurava il piano terra, con un successo strepitoso. La storia è molto più lunga e per chi volesse, nella mia autobiografia edita da Simonelli in versione e-book, e venduta sui maggiori portali, potete acquistarla e leggere l’intero capitolo che qui vi riassumo soltanto raccontandovi che la grande soddisfazione dell’Ambasciatore lo convinse a chieder fondi a Brasilia per ristrutturare, sotto la mia direzione, tutto l’intero edificio, per poter ridare fasto al palazzo e finalmente il trasloco della famiglia Da Silva, Ambasciatore, consorte e figli nel nuova dimora. Due anni di lavoro, lunghe permanenze in città, cominciavo a parlare russo con Galina, la domestica, e portoghese con Laura, e tutti i ragazzi del Corpo Diplomatico. Una esperienza indimenticabile, con le notti bianche estive, e i meno 40 d’inverno, la nuova Russia che nasceva con difficoltà, infatti Glasnost e Perestrojka erano vocaboli usati da Gorbaciov per la politica estera, mente in loco stagnava ancora l’aria del regime subito per lunghissimi anni. Ma veniamo all’ultimo giorno della mia permanenza di questi due fantastici anni, il giorno in cui incontrai quello che cervato da tutta la vita: qualcosa di unico. Era una carta geografica sbiadita (anche qui nella biografia ci sono vari capitoli sullo sviluppo dell’idea) e cosi, dopo due anni di prove e tentativi, uscii sul mercato americano con le mie borse Geo. Un successo i America così travolgente da dovermi trasferire per molti anni a New York, e in patria, la mia Italia, giungeva solo l’eco, ma nessuno mi conosceva. Anyway, 6 mesi dopo la presentazione da Bloomingdale’s nella Grande Mela, cominciai a girare tutta l’America per presentare, il mattino a Houston, pomeriggio a Dallas, il giorno dopo San Francisco e Los Angeles, poi Miami e Orlando, Chicago e Minneapolis, e cosi via tutti i giorni due città, e a metà settembre 1990, 3 presentazioni nella capitale Washington D.C., in 3 shopping center diversi. Si parte alle 6 del mattino da La Guardia, con un’altra Laura, la direttrice vendite USA, lei compra le sue 12 riviste di moda di repertorio, tra le quali WWD, l’unico quotidiano di moda al mondo (nel’90), a bordo lo sfogliamo e cosa trovo? Un supplemento a colori, di 4 pagine, che recitava “Gitano introduce the new Geo bags Collections”, con tutte le mie borse fotografate! Gitano era una famosa gang Newyorkese, specializzati falsari e re delle copie di borse, orologi e tutto ciò che produceva business illegale. Laura li conosceva bene, perché non era la prima volta che li incrociava con i marchi che lei rappresentava, ma io, appena nato, un piccolo pesce già nelle fauci degli squali, potete immaginare come mi sono sentito, e in quali condizioni psicologiche abbia affrontato le 3 presentazioni, e tornando a casa la sera stessa, dall’aeroporto passiamo direttamente nell’ufficio legale del Marito di Laura, un rinomato avvocato, esperto di questa materia. Anche lui conosceva bene i malfattori, e dopo aver trascorso due giorni e una notte senza uscire dall’ufficio, perché dovevamo trovare prove che quelle borse erano LE MIE BORSE e non falsi… mi chiese come avessi ottenuto con il processo di stampa quella cartina, quei colori, ma soprattutto se per caso ci fosse una particolare che potesse riscontrare che erano effettivamente LE MIE, QUELLE BORSE FOTOGRAFATE, insomma si, c’era la prova, ed era un errore che avevo commesso quando A MANO (oggi si farebbe con i programmi del pc, senza possibilità di sviste), avevo scritto dal nord al sud con i trasferibili Letraset tutti i nomi di città, mari, monti oceani, insomma tutto lo scritto: arrivato al sud della carta, anziché scrivere Isole Falkland, mi era sfuggita una R alla romana, e così ero andato in stampa con FaRkland… e una delle borse fotografate riportava lo stesso errore, prova era che avevano fotografato le mie borse, un test, che se avessero avuto successo e richieste le avrebbero prodotte, con qualche variante. Un sospiro di sollievo, una tregua, ma comunque gli squali dovevano essere abbattuti, ed io, appena all’esordio, non avevo certo capitali da investire per intraprendere una causa così onerosa. Ma la soluzione c’era: i distributori, 3 uomini d’affari, un russo, un cubano e un egiziano, che operavano nella moda, si fecero avanti loro, con la loro proposta in- decente (lo scoprirò soltanto dopo 3 anni, a causa vinta) che, essendo loro in dovere per contratto di proteggere il mio marchio in America,(loro territorio di attività), che avevo tempestivamente registrato a Roma, prima di partire con le vendite. Sicché si fecero avanti loro con i lestofanti, che conoscevano bene, e vennero a patti con una conclusione a mio favore, con una pagina intera sul N.Y. Times che decretava la loro condanna e la paternità delle carte Geo a me. Peccato che poco dopo proprio i miei 3 distributori, il cubano, l’egiziano e il russo, venivano arrestati ed espulsi dall’America per un insospettabile traffico di benzina normale venduta per “verde”. Nessun problema per me e le mie borse, orami affermate e Laura al timone dell’impresa che è proseguita per molti anni, con successi incredibili, e altre proposte indecenti.
In Giappone il successo era pari a quello americano, e un giorno, nel mio show room di Milano, ancora sconosciuto agli italiani, si presentano dei signori nipponici, inviati in avanscoperta da un’altra gang , che con tanto di documenti, rivelatisi poi fasulli, mi avvertivano che il mio marchio era stato registrato da una società di Osaka, e dunque il marchio, secondo loro non era mio (abitudine quotidiana nel paese del Sol Levante, che a quei tempi registravano tutti i nomi delle guide telefoniche per poi poter ricattare l’eventuale stella nascente di qualunque settore… insomma con 2 miliardi di lire sarei tornato in possesso del MIO MARCHIO… peccato che, passata la pratica ad un mega studio legale, si scopri che l’effettiva registrazione del marchio in Giappone avveniva un’ora dopo la mia registrazione presso Bugnion, a Roma, fuso orario calcolato al secondo,!…. ecco scampata una altra proposta allucinante, ma sentite la prossima.
Sempre nel mio show room di Milano, nel 1994, poco prima dell’apertura della boutique di via Montenapoleone, che avrebbe decretato il mio successo anche in patria, ricevo una chiamata, con richiesta per un appuntamento d’affari da parte di un Gruppo Medio Orientale (eviterò di rivelare la vera identità del Paese d’origine dei nuovi sciacalli), e ignaro della proposta, accetto l’appuntamento: una proposta imperdibile, impressionante, stratosferica, che mi avrebbe reso una cifra con talmente tanti zeri che avevo difficoltà a comprenderne il valore, ma compresi immediatamente che il mio NO era talmente fermo, che per nessun importo avrei soddisfatto la proposta PIU’ INDECENTE che ricevetti: cancellare la parola Israele dalle mie carte geo!!!!! Rimasi letteralmente scioccato, soprattutto da chi, nel mio entourage (ovviamente radiati immediatamente) considerava il mio rifiuto una demenza, rispetto al bottino che avrei incassato…. Non persi ne’ i sensi, né l’etica, ma buttai a mare gli ignobili avventori e qualche essere vivente (non posso considerale persone) che mi erano vicini sul posto di lavoro.
Per contro, e qui la riprova che in qualunque etnia le perversioni non hanno limite, quando aprii la boutique di New York, nel 2001 (ahimè, due mesi dopo il terribile trauma dell’11 settembre con l’attacco alle Torri gemelle), quando, una settimana prima del 19 novembre, data ufficiale dell’opening, ricevo un messaggio palese da una gruppo estremistico ebraico, che minacciavano boicottaggi al taglio del nastro, se non avessi cancellato la parola Palestina dalle mie borse…. Ignorai orgogliosamente l’invito, e nulla successe.
Certo è che alle proposte indecenti non c’è fine, la mente umana presenta spesso delle distorsioni così clamorose, che è difficile restare inermi di fronte alle orribili stragi operate da gruppi religiosamente malsani, di qualunque “credo” si tratti, e le proposte fattemi, nulla sono rispetto agli attentati, tuttavia la follia delle indecenze ricevute, sono l’anticamera di ben più gravi episodi sociali.
NESSUN EROISMO, solo decenza nei miei rifiuti!