BLONDE
Regia: Andrew Dominik
Anno: 2022
Presentato all’ultimo festival del cinema di Venezia, è di recente approdato in streaming su Netflix il film “Blonde” di Andrew Dominik, basato sull’omonimo libro best seller di Joyce Carol Oates. Il film fa rivivere sullo schermo la travagliata vita di Marilyn Monroe dagli anni dell’infanzia, segnata dalla mancanza del padre e dalle crisi mentali della madre, poi ricoverata in manicomio, fino agli anni della celebrità a livello mondiale.
Fragile e bisognosa d’affetto, Norma Jeane ha sempre cercato esternamente un punto d’appoggio che sopperisse ai vuoti e ai traumi infantili, finendo spesso in relazioni sbagliate e lasciandosi plasmare dagli studios cinematografici, che fecero di lei una dolce e svampita bambola bionda, sempre ammiccante e sorridente. Una dicotomia umana che portò ad un’immagine finta ad uso e consumo di schiere di fan e ad una più intima e vera creatura che non riuscì mai a trovare, nonostante gli sforzi, un equilibrio nella sua vita privata. Come andò finire, in quell’agosto del 1962, è ben noto, quando davanti agli occhi di tutti si svelò cosa si nascondeva dietro le luci di una delle più brillanti stelle di Hollywood.
A dare corpo e anima a questa Marilyn cinematografica è Ana de Armas, che replica alla perfezione atteggiamenti, modi, sguardi della Monroe, compresa la riproduzione esatta di brevi spezzoni di alcuni dei suoi più celebri film, anche se le manca quell’innocenza smarrita negli occhi e nell’espressione che era uno dei tratti peculiari dell’attrice. Meno bene, invece, film e sceneggiatura, firmata dallo stesso regista, che danno della vita di Marilyn una visione piuttosto monocorde, costantemente dominata dalla presenza di uomini sbagliati, ai limiti della volgarità e brutalità, ai quali Marilyn si piega. Le immagini sono talvolta impietose, mostrano l’attrice sodomizzata, invischiata in rapporti a tre con dandy pseudo-gay innamorati della propria immagine (Charlie Chaplin jr e Edward G. Robinson jr), sposata ad un uomo rozzo e volgare (Joe di Maggio, interpretato come un bozzetto di banalità da Bobby Cannavale) e in seguito nuovamente sposa di un uomo distaccato ed eccessivamente intellettuale, un Arthur Miller asettico impersonato da Adrien Brody.
E mentre la psiche di Norma Jeane si fa sempre più vacillante, le immagini del film diventano deliranti, ingabbiando la protagonista in un incubo, che alterna il bianco e nero al colore e che inquadra più volte un feto in utero tinto di rosso (il figlio che Marilyn non ha mai avuto), come immagine ricorrente e anche parlante, a commento degli eventi.
Con queste pretese autoriali, non sempre chiare, il risultato è un film che non è biografico in senso tradizionale, ma che non trova nemmeno una strada precisa nella definizione di Marilyn e del mondo hollywoodiano che le gira attorno. La donna Norma Jeane e la diva Marilyn sono viste costantemente secondo un unico punto di vista, ripetuto per tutto il film, privo di sfumature e delle umanissime fragilità dell’attrice, qui descritte prevalentemente come crisi di nervi. Una pellicola, insomma, che ha diviso il pubblico a Venezia e che ha destato le critiche di molti per l’esplicito maschilismo, particolarmente evidente in una scena hot col presidente Kennedy di dubbio gusto, che scivola quasi nel grottesco. In ogni caso il film dimostra come il mito di Marilyn con le sue luci e ombre sia ancora più che mai vivo.
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