Trasformista, attore e sopratutto pittore: Dario Ballantini torna nella sua Livorno con una mostra antologica patrocinata dal Comune.
La mostra curata da Massimo Licinio e Annalisa Gemmi, raccoglie la produzione di arti visive cha va dagli anni ottanta della sua formazione liceale fino ai giorni nostri, con una sezione di opere dipinte durante il lockdown.
Per Dario Ballantini è sempre stato naturale dipingere, ha cominciato da ragazzo e non ha mai smesso.
Come dimostrano gli scarabocchi, i disegni a penna e i tentativi di realizzare fumetti contenuti in questa mostra, l’arte impaziente e irrequieta come la sua città.
Ballantini ha sempre ricercato una personale espressività che in questo allestimento, sarà divisa in un percorso fatto di cicli.
La poetica del suo “periodo livornese” sempre rivolta all’essere umano, ha avuto due fasi: la prima caratterizzata da uno stile che ricorda Egon Schiele, con le figure quasi malate di vivere , la seconda da un vago sentore metafisico, notturno e mistico, in cerca di risposte esistenziali nel tentativo di “calmare” l’eccessiva gestualità aggressiva che sarebbe esplosa in periodi successivi e che si sono sviluppati dagli inizi del 2000.
Le sue esposizioni in circa quarant’anni di attività, hanno raggiunto musei e gallerie di quasi tutto il mondo tra cui : Parigi, Londra, Miami, Amsterdam e Praga.
Recentemente Dario Ballantini ha prodotto anche alcune sculture in bronzo ed esplorando un mondo finora solo rasentato dalla sua attività televisiva, inoltre ha realizzato tre opere di video arte ( tra cui un omaggio a Lindsay Kemp) che saranno proiettate in una delle sale .