Punto e a capo.
Un bel respiro, profondo e tanto spazio per la mente, a ritrovare spunti innovativi, ce n’è proprio bisogno.
Perché l’edizione numero 71 della kermesse sanremese ha palesato la mancanza quasi assoluta di grinta
(quella vera), reiterando schemi e testi che anche quando abbiano tentato di mostrarsi “nuovi” sono caduti
in tragicomiche parodie o in eccessi debordanti. Avete visto i video ufficiali degli artisti?
Sopra le righe e in alcuni casi, assurdi o particolarmente violenti. Perché?
Invece di rappresentare una boccata di ossigeno, certi brani, hanno inneggiato al peggio. Insomma se
soffrissi di depressione, guardando questi contenuti confezionati e articolati con montaggi dirompenti,
starei peggio. Un inno alla non vita, invece di stimolare la voglia di riprendersela, con ottimismo e intenzione
di mettersi in gioco. Non è vedendo solo il buio che si raggiunge la luce, quella vera e positiva.
E’ stata un’edizione stanca sin dall’inizio, con enormi problemi di audio, a rendere monche le
interpretazioni, fra interminabili gag alla Fiorello.
Al terzo giorno, non se ne poteva veramente di più dei triti doppi sensi alla boomer, termine abusato in
queste giornate festivaliere a tracciare la differenza fra chi ha vissuto gli anni d’oro dell’Italia post bellica e
alcuni giovani di oggi, che vivono purtroppo vite sgangherate e disperse, a prescindere dalla Sars Cov2.
Troppo lunga questa edizione. Come si fa a stare svegli davanti alla tv oltre le due del mattino per cinque
serate? E se penso a come era stato aspramente criticato Pippo Baudo a suo tempo, con il famoso
dopofestival…Ma questa volta nessuno ha fiatato.
In questi giorni chi abbia retto, si è spento davanti alla tv, nell’immensità vuota di un’edizione difficile.
La ritengo la peggiore di sempre, non per la pandemia ma per quanto abbia offerto in termini di spettacolo
e contenuti. E non ditemi che sia a causa della mancanza del pubblico in sala. La maggior parte di ciò che
viene prodotto, ormai viene registrato o è privo di pubblico per ovvi motivi. E dunque?
Ho avuto l’impressione che a causa del fatto che si dovesse realizzare a tutti i costi, questo festival abbia
palesato sotterranei elementi di controvoglia, impegni non ottimali, scalette delle serate debordate
mancando il doveroso ricordo dei Pooh, ad esempio.
Ed ecco i tempi lunghi, i monologhi prevedibili, una qualità piuttosto bassa, a parte qualche eccezione
dovuta a validi interventi di ospiti temporanei, e banalizzazioni in salsa festivaliera, per non perdere il vizio.
Ma la cartina al tornasole la sta dando il confezionamento degli immancabili video ufficiali dei cantanti ed il
feedback della gente sui social. Alcuni hanno inneggiato ad una svolta storica con la vittoria del rock, in un
momento di rottura. A ben vedere il tutto era stato studiato a tavolino come le performance di Lauro,
divenuto nocchiero di lungo corso ed abile, in scaltrezza.
Il gruppo vincitore è molto più omologato di quanto non si potrebbe ipotizzare. Chi è rocker nel sangue
spacca, come si suol dire e non si piega alle regole del mercato discografico, diverge e non reitera all’infinito
la “diversità” da copia/incolla o da finto minuetto.
Il verdetto, è stato il frutto della “noia di vivere” nel termine più basso. Ma la tecnica, il lavoro di fino sui
testi e sulle musiche, dov’è andato a finire? La qualità, la ricercatezza, il gusto per il bello?
Il gusto per il bello, già!
Non sia mai detto che anche questo sia boomer, suvvia!
Siamo in pieno decadentismo, anche nella musica nostrana, bisogna prenderne atto. E infatti uno che stona
come Fedez e che raggiunga il secondo posto, dimostra che per molti fan da audience e indice da voto
facile, conti solo la vita da social che non è arte ma artificio funambolico a raccontare il nulla che potrebbe
essere normale vita quotidiana, senza clamori. E lo volesse il cielo.
I vincitori non rappresentano il rock. Ripetono allo sfinimento quattro parole in croce, urlando, quando
dovrebbero zittirsi. Il rock, quello vero, vissuto sulla pelle è ben altra cosa, è ruvido dentro l’anima, sgorga
dalle vene. Non è rappresentato da quei vestitini simil nude look, da tutina stampata… da finzione coniugata
con l’opportunismo scenografico.
Avrei fatto vincere il terzo classificato che numero uno da pronostico, ovviamente non lo è divenuto per la
legge del contrappasso, ovviamente.
Ermal Meta, è stato essenziale, con un testo pulito, intimistico, e con un buon audio video di
accompagnamento. Troppo direi, di questi tempi e lui stesso lo ha sottolineato. In effetti, saper cantare
senza fuochi fatui o d’artificio diventa secondario, sic.
Ma già, tirare fuori l’esser sguaiati fa più effetto notte, mistery, dannazione, certo, nell’ indecisa marcatura
stretta dell’affabulazione sconclusionata e sgangherata.
Non sono tenera, lo riconosco. Ma desidero qualità nelle cose, sto diventando esigente. Gli specchietti per
le allodole sinceramente non mi attirano più, da molto. Pretendo innovazione, responsabilità, ricerca,
profondo impegno in ogni cosa ed infatti sono boomer, certo.
Motivo di orgoglio per tirare a lucido i galloni vinti sul campo della vita, quella vera.
Avanti a tutta, sino alla settantaduesima strada, la prossima!
Mariacristina Ferrarazzo