Presentato quest’anno a Venezia come film di apertura della 75ma mostra cinematografica, First man – Il primo uomo segna il ritorno del regista Damien Chazelle, dopo il grande successo del bellissimo La la land. Abbandonata l’atmosfera nostalgica del musical pluripremiato agli Oscar due anni fa, interpretato da Ryan Gosling ed Emma Stone, viene narrata la storia vera del primo uomo a mettere piede sulla luna nel 1969, Neil Armstrong, impersonato sempre da Gosling alla sua seconda collaborazione con Chazelle.
Il film segue in parallelo le vicende private e famigliari di Armstrong e le fasi aerospaziali al fianco dei suoi compagni di viaggio, dalle dure prove attitudinali ai lanci delle navette. Dopo la morte della figlioletta, a cui aveva promesso la luna, Neil aderisce al progetto Gemini che ha come obiettivo quello di preparare una squadra di piloti per il programma Apollo. Tra tensioni famigliari e la costante preoccupazione della moglie Janet (Claire Foy), che come tante altre vive ogni giorno col fiato sospeso per la sorte di Neal, il cavaliere dello spazio prosegue nella sua missione personale, quella silenziosa sfida con se stesso e col mondo per la ricerca e la conquista di un sogno.
In un periodo in cui tutto stava cambiando, quegli anni ’60 di proteste e tensioni sociali, la missione sulla luna diventa una magnifica ossessione in cui solo un gruppo di coraggiosi uomini credeva, che diventa tuttavia metafora poetica per tenaci ed irrinunciabili sognatori.
Anche se le vicende sono note e a livello narrativo il film non ha molte impennate (si poteva anche tagliare qualche lungaggine), la storia si segue con interesse e resta impressa la scena in soggettiva dell’allunaggio. Un uomo solo davanti ad una terra sconosciuta, altrettanto solitaria e silenziosa.
Con tono antiretorico Chazelle racconta fondamentalmente di un uomo, sognatore quanto il Sebastian di La La Land e tenace come l’Andrew di Whiplash, il primo film che lo ha fatto conoscere al grande pubblico. Ne valeva veramente la pena? – sembra chiedersi la struggente scena finale con Neal, rientrato sulla terra, faccia a faccia con la coraggiosa moglie Janet. Il significato del “piccolo passo per un uomo, ma giganteco balzo per l’umanità” sembra racchiuso in quell’intenso scambio di sguardi silenziosi su cui si chiude il film.