Genova torna a muoversi, ricucita della sua modernità dopo lo squarcio che ha reciso la sua arteria
principale.
Da Genovese ho scritto pochissimo su quello che è stata la tragedia del Ponte Morandi: troppo difficile
spiegare che cosa è stato il crollo. Vi passai due giorni prima e vi stazionai per 15 minuti buoni
bloccato nella perenne coda creatasi prima del casello autostradale: ricordo perfettamente che vibrava
più del solito. Gli stralli altissimi parevano ancora più alti, pericolosi e fragili.
L’Italia ( e non solo Genova o la Liguria) è stata finalmente ricucita attraverso un ponte-simbolo di un
Paese con forti contraddizioni politiche, economiche e sociali.
Solido, bello, forse meno estroso ma più “concreto”, antitetico al fratello deceduto: a dire il vero, ogni volta che guardavi il Ponte Morandi ti chiedevi come facesse a stare in piedi. Da anni era stato imbrigliato da nuovi tiranti esterni, rattoppato ovunque, logorato dal tempo e dall’incuria, appesantito in modo esponenziale da un traffico sempre più impetuoso; se poi avevi l’occasione di vederlo da sotto lo scenario era davvero spaventoso: visibilmente consunto, in perenne manutenzione straordinaria, “appoggiato” alle case. Quante volte mi sono stupito nel vedere questo gigante appoggiare i propri piedi tra le case, direttamente nei cortili dei palazzi, inglobato, nonostante la sua stazza, dall’edilizia circostante.
Quello che è accaduto nel 2018 oramai è ben chiaro a tutti noi: il ponte dei sogni, della viabilità principale, del virtuosismo architettonico made in Italy con gli occhi rivolti a New York si era sgretolato in tanti pezzettini. Insieme agli stralli e all’asfalto sono volati in cielo 43 anime innocenti. Tutti noi abbiamo pensato che avremmo potuto essere una di loro.
Da ieri sera il Ponte San Giorgio è stato aperto, una svolta, un ritorno, una grande occasione per
riflettere a pochi mesi dal lockdown e in pieno caos autostradale che attanaglia ancora la viabilità in
Liguria. La gioia nel vedere un’opera di simili dimensioni è davvero grande e ricca di ammirazione, ma
insufficiente per sovrastare l’amarezza ad essa legata: anche il Morandi era un simbolo di futuro, di
sviluppo economico, di velocità. Il ponte che ricordava l’America dopo i fasti iniziali è stato abbandonato
al degrado, marcendo su se stesso fino a crollare, minato dalle bombe della decennale gestione che lo
ha portato alla sua triste fine. L’incuria e le contraddizioni interne dell’Italia hanno concretizzato uno
scenario di guerra dove il nemico è interno, autore fratricida che vive insieme al nostro tessuto
economico e sociale.
Tra le tante parole scritte in questi quasi due anni di ricostruzione vorrei ricordare le parole del grande
Renzo Piano che ha usato un codice di comunicazione analogo a quello di una ricostruzione post
bellica, inglobando con pacatezza e saggezza due concetti cardine: pace e amore quali genitori adottivi
per la sua creatura appena nata.
La bellezza di un ponte nuovo, realizzato nei tempi promessi, forte nella sua costituzione spero sia
conservata nel tempo da pace e amore.
Il sacrificio delle 43 persone sia sempre il faro di buon senso per oltrepassare l’avidità degli interessi, la
parata dei politici di turno, il logorio di un traffico sempre più intenso, la velocità degli anni che passano.
Con pace e amore, sempre: i minuti in cui attraverserò il Ponte San Giorgio saranno ogni volta gli attimi
di una vita.
Foto- Fonte Regione Liguria