Nel 2005, la variazione d’uso di una vasta area desolata, a nord di Chelsea, ha dato vita a una riqualificazione da venticinque bilioni di dollari, che ha trasformato il vicinato. Hudson Yards ufficialmente è stato costruito su rotaie in disuso, su una superficie che si estende dalla 10th alla 11th Avenue e dalla 30th e 34th Street. Un ambizioso progetto, sviluppato da Related Companies e Oxford Properties Group, che è in costante evoluzione, e richiederà ancora del tempo prima di essere completato. Mentre alcune parti sono ancora progetti da costruire, ogni giorno si inaugura qualcosa di nuovo, principalmente torri di uffici e appartamenti da milioni di dollari, attorno ai quali spuntano ristoranti sofisticati e negozi di brands iconici della moda e del design, anche se l’attenzione dei visitatori è principalmente rivolta al centro commerciale e all’alveare The Vessel, disegnato da Thomas Heatherwick.
Già nel novembre del 2000, con il Time Warner Center, a Columbus Circle, c’era stato un tentativo di fare accettare ai newyorkesi l’idea del “centro commerciale di lusso” ma questo concept, passato il primo momento di curiosità da parte dei “locals”, che ne esplorano i piani con piglio critico e disilluso, attrae principalmente persone che arrivano da fuori città e turisti, che invece si entusiasmano facilmente alla vista di tutto ciò che è più grande e più scintillante di quello che vedono nel loro Paese o in zone remote dell’America.
In aree residenziali come Chelsea gli elementi di fascino non mancano, basti solo pensare che il parco sopraelevato della Highline è nato sulle rotaie di un treno e sovrasta l’intera zona, troneggiando sopra una griglia ordinata di circa dieci strade parallele popolate di gallerie e condomini sofisticati, quanto inaccessibili. Ma anche qui, quando apre qualcosa di nuovo si spera sempre che sia interessante e richieda quantomeno una visita, per vedere di cosa si tratta e poter poi usare la propria opinione come argomento di conversazione a una cena o con un caffè “to go” in mano, in costante compagnia di un cellulare.
Il mio approccio è stato, infatti, intrapreso con spirito di ricerca. Seppure l’idea di “mall”, per quanto lussuoso, faccia subito “periferia”, sono andata a esplorare gli Hudson Yards, valutando la selezione dei brands ospitati all’interno del complesso commerciale speranzosa e a mente aperta, oltrepassando velocemente, con disinteresse, le grandi catene internazionali e i brand di lusso, che posso vedere ovunque, e focalizzando invece la mia percezione di cercatrice su nomi nuovi e display attraenti.
Il primo impatto non è stato roseo. Arrivata da un lavoro senza pausa pranzo, che si era svolto nei pressi del nuovo gigante, mi sono diretta al secondo piano, da Citarella, sapendo che il loro reparto gastronomia è sempre una certezza. È uno dei pochi posti in cui mi fido a comprare una zuppa già fatta, e l’altra sera, dopo essermi accertata, a fiuto, che non ci fossero i soliti chili di aglio che gli americani mettono dappertutto, la scelta è ricaduta sulla profumatissima Soup of the Day, una zuppa di piselli che mi sono pregustata fin dagli effluvi del pentolone. Ma ahimè, non era destino. La cassiera mi fa notare che sul cartello sotto la cassa c’è scritto “NO CASH. CREDIT CARDS ONLY”. Io però la mia carta di credito l’avevo persa la sera prima a Chinatown, me n’ero appena accorta. Penso che per una zuppa si possa fare un’eccezione, non c’era coda, quindi non bloccavo il traffico con il mio cash, e dovevo mangiare qualcosa prima dell’appuntamento successivo. Non c’è stato verso. Hanno buttato via la mia zuppa e io sono dovuta andare fuori a comprare dell’altro.
Sulla via dell’uscita dall’edificio, però, ho scoperto The Drug Store, un bellissimo display di bibite di tutti i colori, disposte con ordine e abilità cromatica in un grande frigorifero con le porte scorrevoli di vetro e un ipad in fianco, montato a parete, per fare gli ordini. “Non si scelgono a gusto, si sceglie secondo gli ingredienti, le proprietà della bevanda e le proprie esigenze del momento”, mi spiega il responsabile, che era lì solo per bellezza, in quanto gli acquisti avvengono, appunto, solo attraverso l’ipad. E quindi, di nuovo, solo con carta di credito.
Non ho mai dovuto subire l’astinenza, in quanto, da brava newyorkese, ho sempre avuto l’abitudine di pagare tutto, anche una mela, con carta di credito. Ma mi chiedo come faccia una persona che vive per strada, di elemosina, quindi in cash, a mangiare una zuppa calda quando ha fame, come me in quel momento. Evidentemente Citarella serve solo persone selezionate, dato che negli Stati Uniti per ottenere l’approvazione per una carta di credito bisogna avere una credit history che non si costruisce dall’oggi al domani. Non vorrei ergermi, in questa occasione, a paladina dei più deboli, ma mi è sembrato altamente discriminante.
Procedo quindi, senza cibo e senza drink, verso il quinto piano, dove uno spazio enorme, l’equivalente di quattro negozi uniti tra loro, è occupato dalla famosa boutique di Dallas Forty Five Ten, che ha scelto gli Hudson Yards come sua prima e unica sede a New York. Surclassando l’idea del concept store e aggiungere un tocco di coolness, la curatissima selezione di moda uomo e donna è affiancata da un’area dedicata a pezzi vintage molto ricercati e da una piattaforma per designer emergenti che si chiama 4510/SIX. La creatrice e proprietaria, Kristen Cole, che ha ideato con il marito Joe un concetto al di sopra delle righe, sostiene che l’abbigliamento di lusso possa essere integrato in un contesto creativo che coinvolga altre discipline. Architetti e artisti hanno collaborato agli arredi, oltre ad avere l’opportunità di avere la loro arte esposta all’interno dello spazio.
Ho visto quello che mi interessava. Una boutique nuova, con una selezione originale e estremamente intrigante, una vastissima campionatura di drinks che assaggerò quando mi arriva il replacement della mia carta smarrita e un supermercato-gastronomia, che prima amavo, ma ora sfama solo persone che sappiano gestire saggiamente le loro finanze. Tutti gli altri immagino debbano mangiare da Mac Donald.
All’uscita c’è una lunghissima coda fuori dall’alveare, The Vessel, la costruzione che troneggia nella piazzetta, onnipresente sui social media, fotografato anche da chi non sa cosa sia o non si sia prenotato per la visita all’interno, che implica lunghe code. La sua scala a chiocciola è stata pensata per essere percorsa fino in cima, o a diverse altezze e angolazioni, e garantire una veduta dall’alto della città e del fiume, che surclassa quella della vicina Highline. Per molti probabilmente resterà una di quelle cose che si sa che esistono, ma non necessariamente devono diventare esperienza personale, come la terrazza dell’Empire State Building. Senza negarne l’effetto scenico, affrontare 154 rampe di scale intricate, per la precisione 2.500 scalini intervallati da 80 piattaforme, richiede determinazione.
Questa settimana, compreso nell’enorme complesso Hudson Yards, The Shed, un nuovo centro culturale polifunzionale, ha appena aperto al pubblico, dopo essere stato in costruzione per dieci anni. Progettato da Diller Scofidio + Renfro, in collaborazione con Rockwell Group, l’edificio è dotato di una parte fissa e di una mobile, che scorre su ruote. Una grande corazza che si apre e si chiude come una “sliding door”, una porta scorrevole, adattandosi a rappresentazioni di diversa natura. Il programma è fitto di appuntamenti multi disciplinari, come è ormai d’uso un po’ ovunque, nelle nuove sedi che promuovono la cultura contemporanea. L’inaugurazione ha previsto una serie di cinque serate di concerti “Soundtrack of America” (La colonna sonora dell’America) diretta da Steve McQueen, Quincy Jones e Maureen Mahon, esplorando l’impatto della musica Afro-Americana sulla cultura moderna.
Hudson Yards, questo ambizioso mega progetto immobiliare multi-miliardario, il più costoso nella storia degli Stati Uniti, è stato di recente oggetto di polemiche, dovute a quello si crede sia stato, attraverso cavilli legali, l’utilizzo di fondi pubblici che erano destinati ad aree urbane impoverite. Secondo queste fonti, 1.2 bilioni di dollari, dei 200 bilioni necessari al completamento previsto dalle proiezioni originali, provengono da capitali pubblici che avrebbero dovuto essere utilizzati per alleviare la povertà urbana.
Ai posteri l’ardua sentenza. Nel frattempo lo sviluppo procede, all’insegna del consumismo più sfrenato.