A cura di Katiuscia De Leonibus
Psicologa clinica ad indirizzo sistemico relazionale
Il clima vacanziero di agosto è stato stravolto dalle terribili notizie di cronaca che riguardano giovani ragazzi e ragazze: mi riferisco ai recenti episodi di violenza sessuale di gruppo compiuti da soggetti giovanissimi; eventi che ci hanno lasciato esterrefatti e profondamente turbati.
Provo ad entrare nell’argomento in punta di piedi, in quanto inerente questioni delicate che meritano attenzione e rispetto oltre alla dovuta precisazione che, trattandosi di vicende che hanno rilevanza penale, sarebbe opportuno parlare delle stesse in seguito alla determinazione degli eventi nelle sedi giudiziarie attribuite a tale scopo. In questa sede possiamo limitarci, per ciò che ci compete, ad una riflessione collettiva con l’obiettivo di prevenire simili avvenimenti in futuro.
Possiamo supporre che le responsabilità non siano solo individuali ma che ci siano aspetti educativi, sociali e culturali che abbiano portato alle violenze contro le ragazze in quanto donne. Qualche collega rievoca la cultura patriarcale dominata dal senso del possesso e dalla prevaricazione, che nega la parità di genere e si basa sugli stereotipi che influenzano la ripartizione dei compiti e dei ruoli.
Appare evidente che ci siano aspetti culturali da indagare e sui quali soffermarsi, la strumentalizzazione e l’uso del corpo delle donne è da sempre al centro del dibattito, basta analizzare i messaggi che vengono veicolati attraverso alcune pubblicità: recentemente l’immagine di una ragazza ricoperta di cioccolato adagiata su un vassoio, in un villaggio vacanze, ha fatto il giro del web creando parecchia indignazione.
Ma tornando agli eventi che hanno originato la nostra riflessione: questi giovani uomini hanno dimostrato non solo di non saper gestire le proprie emozioni e i propri impulsi ma anche di non provare empatia e compassione, di non aver ricevuto un’educazione affettiva infatti gli stessi non hanno mai preso in considerazione l’idea di dover acquisire un consenso libero e lucido da parte della ragazza, forse perché in lei non hanno visto la persona ma un oggetto inanimato. E neppure dopo l’aggressione hanno esternato pentimento o vergogna.
Un altro aspetto da tener presente in queste vicende è l’importanza di proteggere le vittime, evitando di rendere pubblici i dettagli delle chat dai contenuti raccapriccianti (come nel caso dei giovani stupratori ) e di pubblicare interviste che sollevano dubbi sulla moralità delle donne oggetto di abusi, tutto ciò infatti non può che alimentare il dolore ma anche il senso di colpa e di vergogna che provano ingiustamente.
Inoltre sollecitando i ricordi si riattiva continuamente il trauma e si compromette la capacità di resilienza e di poter tornare a condurre una vita “normale, è invece utile e necessario, ai fini dell’elaborazione dei vissuti traumatici, veder riconoscere le responsabilità degli aggressori e poter contare sulla certezza della pena.
La diffusione di dettagli oltretutto contribuisce a far emergere la rabbia e la frustrazione in chi legge e commenta, auspicando punizioni e addirittura ritorsioni nei confronti dei familiari dei ragazzi.
Ma alla violenza non dobbiamo rispondere con violenza, le notizie sono talmente sconvolgenti che è naturale immedesimarsi nelle vittime, sentir montare la rabbia e lo sdegno ma queste emozioni vanno riconosciute, accettate e canalizzate auspicando sempre una detenzione rieducativa.
La situazione è complessa e preoccupante, il susseguirsi di casi analoghi affiora alla cronaca e impone la valutazione e lo sviluppo di progetti educativi per bambini e ragazzi che stimolino le abilità empatiche, l’affettività, il pensiero critico, la capacità di gestire i conflitti e il rispetto per le diversità e per questo auspichiamo delle leggi regionali e nazionali. Prevenire è di gran lunga meglio che curare!