DALILAND
Regia: Mary Harron
Anno: 2022
Anno 1974: il tramonto artistico di Salvador Dalì, visto attraverso gli occhi di un suo giovane assistente che deve allestire una mostra a New York. Dopo le biografie cinematografiche di altri celebri artisti tutto genio e sregolatezza – ricordiamo solo “Surviving Picasso” di James Ivory e “Pollock” di Ed Harris – ecco la volta di Dalì, che non approfondisce tanto la vita o la arte del pittore, quanto il mondo effimero che lo ha circondato negli anni del suo declino artistico e spirituale, compresi gli speculatori che si sono arricchiti alle spalle della sua firma.
Dalì (Ben Kingsley) negli anni Settanta è ormai un’icona e come tale è venerato dal mondo notturno e festaiolo di una scintillante New York dai liberi costumi sessuali. Qui ognuno recita una parte nel grande spettacolo che si inscena ogni giorno. Dalì e la moglie Gala (Barbara Sukowa) sono parte di questa recita, indossando a loro volta maschere e abiti di scena in un rituale quotidiano, a partire dai celebri baffetti all’insù dell’artista fino alla parrucca nero corvino della moglie, amatissima ex-musa, che rifiuta la vecchiaia circondandosi di giovani ragazzi.
In questo mondo viene fatto entrare il giovane James (il quasi esordiente Christopher Briney), aspirante gallerista, che osserva da vicino l’uomo Dalì, le sue abitudini, la fonte delle sue ispirazioni, le gioie e le amarezze di una vita giunta al crepuscolo. Ancora “puro”, sarà per lui una sorta di ingresso nell’età adulta che segnerà la fine di ogni sua illusione e innocenza.
La regista Mary Harron, che ci ha già abituati a biografie non convenzionali e a spaccati di epoche iconiche della recente storia americana, come quella di Andy Warhol (“Ho sparato a Andy Warhol”), dei rampanti anni ’80 (“American Psycho”), di Charlie Manson (“Charlie says”), conduce un film che funziona a intermittenza, efficace nel dipingere un’era, con una ricercata ambientazione e colonna sonora, ma debole nella definizione psicologica dei personaggi e a risentirne è proprio il protagonista principale, più un bozzetto di fragilità e ansie, che un uomo pulsante e vero. Ma il film si lascia seguire volentieri nella sua ora e mezza, senza pesantezza, e se non è convincente sotto tutti gli aspetti, assolve il compito di intrattenimento e lo si apprezza per il nobile intento.