Matthew Perry, attore americano, conosciuto da tutti come Chandler Bing il personaggio della nota serie televisiva Friends, che ha interpretato per dieci anni, è morto a 54 anni improvvisamente nella vasca da bagno della sua casa di Los Angeles.
La morte probabilmente è stata causata da un problema cardiaco ma l’attore ha avuto spesso problemi di salute causati dalla sua tossicodipendenza e dall’abuso di alcol, problemi dei quali ha lungamente parlato nella sua biografia “Friends, amanti e la Cosa Terribile”
Questa morte ha colto di sorpresa tutti noi che abbiamo imparato a conoscerlo e a confonderlo con Chandler. La notizia ci ha lasciati tristi e attoniti perché abbiamo creduto che Matthew fosse solare, scherzoso e ironico proprio come il suo personaggio. E’ invece evidente che l’uomo e l’attore siano sempre stati due individui distinti e diversi. Chi ha avuto l’opportunità di leggere il libro saprà che Perry è cresciuto senza la figura paterna, suo padre infatti ha abbandonato lui e la madre quando era ancora piccolo, evento non trascurabile nella lettura della sua vita. Tra le pagine che scorrono velocemente, si può percepire tutto il suo dolore ma anche il senso di colpa per non assomigliare a suo nonno che non ha mai toccato un goccio d’alcol nonostante sia cresciuto con un padre alcolista.
Capitolo dopo capitolo si rincorrono i pensieri e gli avvenimenti di questa vita sregolata, si svela appieno la complessità di un’esistenza segnata dalle dipendenze; Matthew stesso racconta della paura di restare solo e di dover ricorrere ad alcol e droghe per placare i suoi nervi.
Tuttavia non conosciamo sufficientemente la storia di Matthew Perry per poterla commentare adeguatamente, ma possiamo utilizzarla come spunto per fare delle riflessioni costruttive in termini di prevenzione psicologica. Possiamo cominciare soffermandoci sulla necessità di educare i ragazzi al riconoscimento delle proprie e altrui emozioni per poter essere in grado di regolarle e governarle, diminuendo cosi il rischio di ricorrere a droghe, alcol o cibo per “calmarsi” e tenerle sotto controllo; per raggiungere questa competenza è però necessario che gli adulti di riferimento, a loro volta, siano in grado di gestire ed esprimere in modo appropriato le proprie sensazioni. Queste abilità rientrano nell’intelligenza emotiva e permettono di sviluppare un’adeguata consapevolezza del sé e di riflesso una buona socializzazione. L’importanza di sviluppare l’intelligenza emotiva è stata riconosciuta anche a livello politico attraverso l’approvazione di una proposta di legge atta a introdurre a scuola l’insegnamento delle soft skills, abilità comportamentali e sociali tra le quali rientrano la resistenza allo stress, il problem solving e anche l’intelligenza emotiva.
Per concludere questa nostra riflessione ritengo sia importante affrontare il tema del fallimento, la nostra società orientata alla vittoria e alla competizione non riconosce negli errori delle possibili alternative; non è un caso che nei bambini e negli adolescenti si manifestino in modo sempre più insistente i disturbi d’ansia, principalmente con
preoccupazioni relative ai risultati scolastici e alle prestazioni sportive. I giovani hanno bisogno di sentirsi dire che è normale sentirsi fragili e vulnerabili in alcuni momenti e di poter accettare anche di sbagliare. Il fallimento non solo va normalizzato ma deve essere letto come l’occasione per fermarsi e per riconsiderare le scelte intraprese.
Fallire è un diritto.
Katiuscia De Leonibus
Psicologa clinica