“Il mondo salvato dai ragazzini”, era una poesia della grande Elsa Morante, (anche se il titolo era centrato su un contenuto differente), a me piace pensarlo in ogni situazione riflessiva sul nostro futuro… Già, saranno proprio i bambini, se ben educati, a guidare il mondo, a gestire il futuro, a salvare il nostro pianeta. Dunque, il patrimonio più importante sono proprio loro, i bimbi. Eppure oggi, in ogni parte del mondo patiscono durissime carestie, soffrono per malnutrizione, o addirittura per la fame, sfruttati con durissimi lavori. Ignobili le discriminazioni che sono costretti a subire, il bullismo infamante, i maltrattamenti da parte di indecenti genitori, ragazze madri che gettano il neonato nella spazzatura… tutto questo è ripugnante, incredibile, impensabile, tuttavia succede! Ormai la globalizzazione dovrebbe aver portato civiltà ovunque, ma non è così, succede ad ogni latitudine, oscenità commesse su innocenti, sia nei paesi culturalmente e economicamente più agiati, o in quelli che venivano chiamati “terzo mondo”, ma ormai con l’era della tecnologia mediatica, anche le favelas brasiliane, i ghetti indiani, gli slums africani, in ogni parte del mondo campeggiano antenne paraboliche con relativo televisore e dunque si sperava che questo mezzo di comunicazione aiutasse ad avvicinare la gente alla civiltà, possibilmente alla cultura, ma ahimè, non è così!
La mia personale esperienza mi ha portato ad affrontare questo argomento sin da ragazzo, educato da mia madre a porgere una mano ai più bisognosi, seppure la mia stessa famiglia avesse subito le angherie della guerra, da poveri contadini, ma con la dignità appresa dai nonni, e proprio la mamma mi portava con lei come aiutante per fare le “punture” a tutto il paese, pur non essendo un’infermiera, ma solo una grande donna che nella sua semplicità esercitava un ruolo molto importante: assistenza sociale e condivisione del dolori delle vedove, dei malati, di tutti coloro che necessitavano di un aiuto. Dunque, sin da bambino ho appreso cos’è la beneficenza ed ho iniziato da giovane ad affiancare associazioni in Africa, a Cernobyl, in Cambogia, ovunque ci fosse bisogno di aiuto. Aiuti all’infanzia, a cause sociali per la prevenzione di ogni malattia, a istituti di pena, ed anche a privati.
Poi un giorno, su un set fotografico, la grande fotografa Graziella Vigo, finiti gli scatti per un ritratto per un suo libro, mi parlò dell’associazione Care & Share Italia, che opera in India, e Lei si apprestava a compiere l’ennesimo viaggio, essendo da tempo non solo una grande sostenitrice, ma soprattutto una grande divulgatrice della Associazione… mi invitò a partire con un folto gruppo, eravamo in 23, e così arrivai nello stato dell’Andhra Pradesh, a Vijayawada, un villaggio rurale ad un’ora dalla capitale Hyderabad, nella parte più povera di quel “continente”, a pochi chilometri dal Golfo del Bengala. Dire che l’arrivo fu traumatico è un eufemismo, e per quanto fossi “preparato” da esperienze precedenti, mi trovai davvero in difficoltà e dopo tre giorni di visite a ghetti, orfanotrofi, ospedali, carceri minorili e case di cura per portatori di handicap (in India l’orribile situazione delle caste, che costringe a matrimoni consanguinei, le probabilità di una nascita con gravi malformazioni è del 14%, un numero largamente superiore a Paesi civilizzati, dove il numero scende a 0,4%), lacerato dal dolore di quanto vedevo, decisi di interrompere il viaggio, basta, volevo tornare indietro… Salii sul pullman che ci portava da una catastrofe ad un’altra, e mi chiusi nel mio silenzio, in un pianto disperato. Improvvisamente sentii dei passi, mi si avvicinò un bimbo di 7 anni, claudicante e con un braccio atrofizzato, e con l’altro mi dette una carezza sulla spalla, aprii gli occhi umidi di pianto e mi sentii dire “Hello Daddy, my name is Naresh, …you are now my Daddy!” in una frazione di secondo il mio mondo si riaprì, lo abbracciai e compresi che me lo aveva mandato il responsabile della struttura che ospitava 40 bambini con forti handicap, e Naresh non aveva ancora uno sponsor. Scesi dal pullman, mano nella mano, mi accompagnò a visitare la struttura, incontrai gli altri 39 ragazzini con grandi patologie e mi avviai nell’ufficio del responsabile: “da oggi Naresh sarà mio figlio!”, dissi, e feci così la prima adozione a distanza. Ovviamente mi procurai tutte le cartelle cliniche del bambino, e una volta tornato in Italia, corsi da un primario di mia conoscenza che mi indicò un pediatra, al quale mostrai le lastre e la cruda verità venne fuori: nato da un matrimonio tra due cugini, dalla nascita presentava una parte del cervello con neuroni “morti”, che tuttavia non gli impedivano di vivere con la sua intelligenza, la sua vivacità, l’affetto e l’allegria e l’incoscienza della sua situazione. Il Pediatra non mi dette speranze, ma mi incoraggiò a sottoporlo a cure termali, il nuoto, e forse nella fase del passaggio tra la pubertà e lo sviluppo adolescenziale, qualche miglioramento si sarebbe visto. Quel viaggio fu il primo di tanti, mi affezionai intensamente a Naresh, adottai altri 4 bambini, di età diverse e conobbi a fondo Care & Share decidendo di entrare a piè pari vicino a quell’infanzia abbandonata, spesso addirittura mutilata dai genitori per mandarli a mendicare, insomma scoprii un mondo così lontano ma così amorevole, che iniziai ad operare come potevo: non sono medico, neppure insegnate, nulla che potessi esercitare per aiutare l’Associazione se non fare il “found raiser”, prodigarmi a raccogliere fondi.
Da allora non perdo occasione per trasformare un evento di moda in raccolta fondi, una cena di gala con lotteria, un vernissage con un’asta benefica, etc etc, e soprattutto a diffondere l’operato che viene fatto in India, insieme ad altri generosi sponsor, abbiamo costruito ospedali, scuole, case, mense, stalle, ambulatori, e così continuai l’opera già iniziata del campus “Daddy’s Home”, e in seguito ad un secondo enorme istituto, “Butterfly Hill”; dove decisi di costruire due case, una a nome di mia madre , la “Margherita Home”, e la “Lorenzo Home”, in nome di mio padre, ognuna capace di ospitare 60 bambini, in un Paese dove le emergenze sono quotidiane, dalla siccità agli tsunami, gravata da un Governo che poco può fare per 1 miliardo di indiani sotto la soglia della povertà, che crede di vivere nella spiritualità dedicando agli Dei il loro destino, ignorando però le regole dei valori umani, famiglie che in media hanno 15 figli, denutriti, mandati a lavorare anziché a scuola, o spesso sono gli stessi figli che scappano abbandonando la famiglia in cerca di fortuna altrove. Ognuno ha diritto di sognare una vita migliore, anche se le speranze sono ovviamente bassissime per le criticità evidenti, seppure l’India sia stata inserita tra i nuovi paesi del futuro, capaci di produrre ricchezza interna, ma ciecamente ottusi nel conservare il sistema delle caste (sono ben 3.654 quelle censite!). Esiste una parte di India ricca, ma che prende le distanze dai fratelli poveri, e a Bangalore ci arrivano solo una minima parte, tutto il resto delle varie caste e religioni con sette lingue parlate, tutti inchiodati davanti ai televisori a seguire le soap che Bollywood produce con eccessiva fertilità senza un progetto culturale nazionale, come se il Mahatma Ghandi non fosse esistito, e ancora succubi della colonizzazione Inglese, che seppure da molti anni indipendenti, tutt’ora gli tessi libri di testo scolastico risalgono agli anni ’60, senza un progetto educativo sessuale, economico, nutrizionale, impossibilitati a cogliere le opportunità per uno sviluppo etico, fossilizzati nella “cultura della spiritualità” che mal si approccia alle regole di vita civile, contravvenendo alla possibilità di progresso, di diritti umani uguali per tutti.
Mi sono recato in India una ventina di volte per visitare i “miei “figli” adottati a distanza, a portare solidarietà, fondi, e speranze. Per i 2.500 bambini di Care & Share ho fatto e farei qualunque cosa, ma sono anche diventato molto critico, constatando lo stato di “stagno” che non fa intravvedere sviluppi immediati, forse fra 50-100 anni, le nuove generazioni vedranno un progresso, ed è per questo che oggi serve annaspare, ricostruire dalle fondamenta una nuova era perché non vengano più abbandonati i bambini, possibilmente ridurre la prolificazione, per dare una adeguata educazione. Per questo ho preso a cuore questa realtà, e per questo continuo a fare il possibile per raccogliere fondi, come da 15 anni a questa parte, in particolare a ridosso del Natale, invito da 200 a 600 persone ad eventi benefici, con la partecipazione gratuita di personaggi dello spettacolo, cultura, sport, tutti amici che accorrono per aiutarmi alla raccolta fondi, come da anni Emanuela Folliero, Helen Hidding, Maria Grazia Cucinotta, Mara Maionchi, Vittorio Sgarbi, la Fracci e la Savignano, solo per citarne alcuni, che ringrazio di cuore a nome dei bambini, che seppure questi eventi risultino non risolutivi, la speranza che con queste azioni si possa raggiungere un miglioramento, e trasformare un sogno in realtà, è sempre grande. Quest’anno invito tutti gli amici e i sostenitori, i Vip, e le nuove conoscenze al party benefico domenica 25 novembre a Milano, da Nhero, che generosamente ci ospita, in via Vittor Pisani 6, dove incontreremo la nuova direttrice del nostro istituto, Kalamani Arumugam, che in India sorveglia Care & Share.
La sede ufficiale è in Italia, a Mestre e risponde al numero di telefono 041-2443292, o alla mail careshare@careshare.org.
Kalamani incontrerà i generosi Italiani che sinora hanno contribuito o vorranno contribuire a prendersi cura e condividere (la traduzione letterale di Care & Share) nella speranza di un futuro decisamente migliore per l’infanzia che crescendo potrà a sua volta rivedere il passato e correggere il tiro.
Sono grato alla fotografa Vigo che mi ha avvicinato all’India, a tutti gli operatori che lavorano a Mestre, al Presidente e al comitato direttivo, ai soci, ai sostenitori, a tutti i miei amici volontari, ma soprattutto a tutti coloro che mi hanno dato fiducia ed hanno adottato a distanza bambini, contribuendo a rendere migliore la loro vita. Grazie a tutti.
Siete tutti invitati al mio tradizionale party annuale, vi aspetto numerosi, e sono certo che la vostra spontanea generosità sarà di grande supporto al mondo dell’infanzia abbandonata.
Mai più il passato, cambiamo oggi il presente per realizzare un futuro eticamente, materialmente ma soprattutto umanamente sostenibile.