martedì, Dicembre 3Settimanale a cura di Valeria Sorli

Nell’eternità di un colore: la vita

Ci sono film che vanno sentiti sotto la pelle, nei pensieri, nel cuore, proprio come “Sulla soglia dell’eternità”, film in cui ammiriamo gli ultimi anni di vita del celebre Van Gogh.
La pellicola riesce a catturare l’attenzione fino a far sentire la natura nell’anima, nelle vene, farsi accarezzare dal terreno vivo per tutto il corpo. Insomma riesce a far provare, in parte, quanto l’immenso pittore provava.
Attraverso i suoi colori, pennelli e la sua sensibilità è riuscito a donare l’immortalità ai fiori, fondere i colori e farne tutt’uno, di getto, d’istinto, nel vero dell’essere. L’essere uomo e artista nella semplicità di una personalità violentemente innamorata. Innamorata dell’immenso creato, un creato forte e fragile in egual misura. Ed è proprio quest’ultimo binomio a generare il carattere di un uomo dalle prospettive immense. Dalle prospettive immensamente folli, follia che serve all’arte, serve al progresso, serve a sopportare i dolori e gioire delle felicità terrene.
A riportare in vita il pittore che non si correggeva mai, colui che dalla prima pennella all’ultima, esprimeva il suo mondo dalla cavernosa sensibilità, non poteva che essere lui: Willem Dafoe, classe ’55, americano ma naturalizzato italiano, dalla bravura, appunto, non corretta.
Una carriera costante, praticamente ogni ruolo un cimelio, non ultimo il ruolo scelto per lui da Julian Schnabel. Dalla recitazione naturale e una mimica che oltrepassa lo schermo e prende per mano lo spettatore. La visione è come un’immersione sott’acqua, sempre in movimento mai prevedibile, mentre le scene sono lente i pensieri corrono forte, un misto di guerra e pace. Alla fine del film, quando scorrono malinconici, i titoli di coda, ti ricredi su cio’ che avevi pensato all’inizio. Ti ritrovi a pensare che va rivisto e che se Van Gogh non poteva che essere un pittore, Willem Dafoe non poteva che essere un attore.