Prima era don Mauro, ora si chiama Rebecca de Pasquale: l’ex concorrente del Grande Fratello è tornata frate benedettino per lanciare un chiaro messaggio sociale…
REBECCA INDOSSA DI NUOVO L’ABITO MONACALE “PER DIMOSTRARE CHE SIAMO TUTTI UGUALI”
Scatti“provocatori” per difendere i suoi diritti e quelli del popolo Lgbt+, soprattutto in questo periodo in cui è in corso il dibattito sul Ddl Zan
“Don Mauro é diventato Rebecca, ma il mio passato non mi hai mai lasciata. Ogni volta che guardo il mio vecchio abito monacale ripenso agli anni trascorsi in monastero, al servizio di nostro Signore. Anche se oggi sono cambiata radicalmente nella forma, la sostanza è sopravvissuta invariata. Per questo motivo ho voluto indossare, ancora una volta, la mia tunica. La fede non mi ha mai abbandonata e ogni giorno mi rivolgo in preghiera a Dio e ai miei Santi di cui resto una umile servitrice.
Rebecca è una fervida cristiana praticante così come lo era don Mauro ma, a differenza del monaco, lei ha compreso che non valeva più la pena di reprimersi ed è venuta alla luce”.
Rebecca De Pasquale è un ex frate benedettino che, qualche anno fa, ha avuto il coraggio di raccontare a tutta Italia la sua storia appassionata, partecipando alla 14esima edizione del Grande Fratello. A ben guardarla, sembra proprio una signora d’altri tempi e ti spiazza con i suoi modi pacati ed estremamente affabili. La sua quiete interiore traspare ampiamente dal suo atteggiamento sereno che avvolge chiunque le stia attorno. Ha sempre una parola buona per tutti, ma è pronta a tirar fuori le unghie per difendere i suoi diritti e quelli del popolo lgbt+, soprattutto in questo periodo storico così particolare in cui, grazie al DDL Zan, il dibattito sul tema è diventato centrale ai piani alti della politica italiana, riempiendo i salotti televisivi e dividendo fortemente l’opinione pubblica.
Rebecca, come mai ha deciso di posare con l’abito monacale truccata e acconciata a festa?
In questo periodo così particolare, in cui il dibattito sul mondo lgbt+ è emerso prepotentemente grazie al DLL Zan, voglio urlare a gran voce che siamo tutti uguali ma che, purtroppo, certe categorie non vengono sempre trattate con il rispetto dovuto. In molti stanno ostacolando questo decreto, asserendo che esistano già disegni di legge atti a punire le discriminazioni. Ma io credo fortemente che sia indispensabile che questa proposta passi pienamente perché le possibilità di difendere la diversità non sono mai sufficientemente abbastanza. I miei scatti vogliono essere una semplice provocazione ma nel pieno rispetto del mio credo religioso. Io non ho mai abbandonato la Fede.
Qual è il messaggio sociale che ha voluto lanciare con questi scatti?
Con queste foto ho voluto lanciare un messaggio sociale molto importante: nessuno deve avere mai timore di essere ciò che è; nessuno deve mai temere di mostrare il proprio corpo solo perché non corrisponde fisiologicamente a quello che sente di essere nel proprio animo. Io sono una trans e ho vissuto sulla mia pelle episodi di bullismo e di emarginazione a causa delle mie scelte sessuali e del mio desiderio di essere una vera donna. Non voglio che questo accada ad altre persone. Nessuno deve avere più paura.
Adesso lotta per l’affermazione dei diritti della comunità lgbt+, ma in passato è stata addirittura monaco benedettino. Ci può raccontare?
I miei genitori mi hanno trasmesso i loro valori cristiani e la loro ferrea fede in nostro Signore. Sono cresciuta a pane e religione, recitando le preghiere nei momenti più importanti della giornata, per ringraziare Dio della sua misericordia e del suo amore. Da bambina, abitavo a Eboli, in provincia di Salerno e di fronte alla mia abitazione c’era la parrocchia Santa Maria del Carmine che ho frequentato quotidianamente fino a che non sono andata via di casa per entrare in monastero.
Quando ha deciso esattamente di entrare in convento?
A sedici anni ho sentito la fatidica ‘chiamata’. Dapprima ho aderito all’ordine dei frati Cappuccini. Era il 13 giugno del 1996, festa di Sant’Antonio da Padova a cui sono molto devota. Sono rimasta con i fratelli Cappuccini fino al 1997. Il 3 marzo di quell’anno, poi, sono entrata nell’abbazia di Cava de’ Tirreni, presso i monaci Benedettini. Le mie giornate erano semplici e segnate dal motto ‘Ora et Labora’ (prega e lavora, ndr.). Recitavo costantemente le mie preghiere: il mattutino, le lodi, i vespri, la compieta, le solennità, partecipando alle messe cantate in latino e in gregoriano. La devozione verso Dio mi accompagna ancora oggi che sono ritornata allo stato laicale.
Perchè ha deciso di abbandonare la tunica?
Ad un certo punto nella vita, bisogna fare delle scelte ed io, dopo otto intensi e straordinari anni con la tonaca, ho fatto le mie. Anche se ho lasciato l’abbazia, la mia fede non si è scalfita minimamente. La mia devozione verso Dio è ancora forte come all’inizio. Serbo tanti bei ricordi nel mio cuore legati alla vita nel monastero dove ho imparato soprattutto ad essere paziente e a non lamentarmi facilmente per ciò che mi manca o di ciò che ho. I valori che già avevo prima di ordinarmi frate e che si sono rafforzati in convento, sono ancora saldi e ben presenti nella mia vita attuale.
Come vive oggi lontana dall’abbazia?
Ancora oggi la fede in Dio è una componente fondamentale della mia vita. Spesso mi raccolgo in preghiera, a volte con la Divina Misericordia, altre con il Santo Rosario. Invoco sempre la Divina Provvidenza perché la fede è amore. La invoco soprattutto, durante i viaggi per chiedere protezione o nelle nuove esperienze di lavoro per avere maggiore sicurezza. Quando prego sto bene dentro, nel profondo del mio spirito e quando sto bene dentro, riesco a dimostrarmi più serena anche con il prossimo. Non ho perso l’abitudine di fare il segno della croce al mattino, prima e dopo i pasti e quando vado a dormire perché in questo modo ringrazio nostro Signore e purifico il mio cuore e la mia mente.
Che cosa le hanno lasciato tutti quegli anni vissuti con i monaci Benedettini?
Ho imparato che pregare mi rende felice e che è importante avere fede in Dio, soprattutto nei momenti più bui della vita. Nei periodi difficili, recitando l’Ave Maria o il Gloria al Padre o l’Angelo Custode, riesco a mettermi in contatto con il Signore, chiudo gli occhi e immagino questo buon Dio con le braccia aperte che sta lì ad ascoltarmi, che mi guarda, mi fissa, mi parla e alla fine, mi dona ciò che chiedo. In abbazia ho imparato che quando si invoca Dio con sincerità di cuore, con vero amore e reale devozione, allora lui ci ascolta. In questi momenti mi sento serena e felice e cerco sempre di ricambiare e ringraziare il Padre per la sua grazia.
PH Nico Clemente
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