sabato, Novembre 23Settimanale a cura di Valeria Sorli

Una terra che ci parla

Nelle ultime settimane abbiamo assistito ad avvenimenti catastrofici: dalle numerose alluvioni che hanno colpito il nostro Paese e altre zone d’Europa, ai brutali incendi scoppiati sia negli Stati Uniti che in America del Sud.

Addirittura, in occasione della Climate Week, su uno dei grattacieli di Union Square (Manhattan) è stato inaugurato un orologio un po’ diverso dagli altri: un countdown alla catastrofe climatica, visibile fino al 27 settembre. Ci ha indicato che mancano circa 7 anni ad un punto di non ritorno per la nostra situazione ambientale: il 1 gennaio 2028 sarà il giorno della resa dei conti a quanto detto dall’ONU.

Durante l’eterno lockdown dello scorso marzo, abbiamo visto una natura che è tornata a vivere dopo tanto tempo e che si é potuta godere qualche mese senza l’avida impronta dell’essere umano. Tra le meduse nei canali limpidi di Venezia e i delfini che nuotavano tra le acque dei porti, ci siamo immaginati un mondo per sempre così. Ma il sogno è purtroppo già svanito: da quando le porte di casa nostra sono state riaperte alla vita di sempre, le emissioni di Co2 si sono alzate in modo drastico e i canali di Venezia sono ormai tornati ad essere un ambiente inospitale per le meduse.

In questi giorni inoltre, sono divampati migliaia di incendi sul suolo paraguaiano, dovuti specialmente alle alte temperature che stanno interessando il paese. Si sono mossi in tantissimi volontari per aiutare i pompieri e portare loro acqua, mettendosi in moto con donazioni e collette per la causa. La loro tenacia li farà rialzare più forti di prima, come sempre hanno fatto.

Sognare le nostre ambizioni diventare realtà vuol dire anche prendere atto di quello che ci circonda e fare piccoli passi per ridimensionare il nostro impatto ambientale; il futuro ci verrà incontro da solo se iniziamo a pensarla in questo modo.

Il 9 ottobre 2020 ci sarà il Climate Strike, ovvero il consueto raduno nelle piazze di tutta Italia per portare nuovamente alla luce i problemi che tutt’ora sussistono nello scenario ecologico. È sempre un’occasione per far sentire la propria voce e prendere parte a qualcosa di concreto e fondamentale per la nostra generazione e per quelle che verranno.

Tanti sono anche i giovani che si stanno dando da fare per ridurre il consumo di plastica e fare la raccolta differenziata. Non abbiamo un piano B, non esiste una terra di riserva sulla quale spostarci una volta implosa la nostra.

Vi porto un piccolo esempio che ho incontrato ultimamente sui social: Camilla, una liceale di 17 anni ha creato una startup chiamata A-MORE. Si tratta di un brand di vestiti ed accessori che mira ad elogiare la qualità, ma soprattutto la sostenibilità. La giovane imprenditrice crede infatti nella responsabilità di noi giovani nei confronti del nostro habitat, cominciando dalle piccole cose come ad esempio la moda. Il suo motto, “Love is not enough, we need more”, ci fa capire che se vogliamo essere il cambiamento, l’amore sarà solamente il punto da cui partire per rivoluzionare il futuro.

Impariamo quindi ad ampliare le nostre aspirazioni verso temi che riguardano tutti; sarà decisamente più facile conciliare l’emozione con l’utilità sociale per creare delle community che esaltino valori comuni.